Il tentativo è stato quello di offrire ai bambini che si trovavano a scuola con me, un rifugio da tutto ciò che stava accadendo nel mondo, un rifugio al distanziamento, alla pandemia, a chi parla di “distanziamento sociale”, a chi resta fermo per paura…
Il motore che ha alimentato tutto questo? La voglia di offrire bellezza, perché la bellezza è alla portata di tutti e tutti ne hanno bisogno.
Come? Innanzitutto ho cercato ciò che era bello per me, poi l’ho offerto ai bimbi…liberi di prenderlo o rifiutarlo, perché si sa che la bellezza è anche un concetto soggettivo.
Mi sono chiesta:
È bello per me stare ferma dietro un banco o una cattedra (che neanche avevo più) e limitare al massimo gli spostamenti per evitare “il contagio”?
No, non è bello!
È bello stare nel pezzetto di corridoio segnato con lo scotch e cercare di non oltrepassarlo mentre tento di sgranchirmi da due ore di seduta?
No, non è bello!
È bello che in una mattinata qualcuno parli per circa 3 ore e 30 minuti (l’insegnante) e l’altro, se va bene, 5 minuti (il singolo studente)?
, non è bello!
…
Ho continuato così a lungo e per tutto il NON BELLO individuato ho cercato un’alternativa all’insegna della bellezza.
Ci sono riuscita? Non sempre, ma spesso sì; con l’aiuto dei bambini!
Se dovessi tirare un po’ di somme?
Direi: spesso ci siamo divertiti, ci siamo mossi molto, abbiamo camminato tanto, abbiamo esplorato, annusato, osservato, ascoltato, raccolto migliaia di cose, ripulito un piccolo parco, scritto tante storie, siamo stati poco seduti (almeno dietro i banchi), ho parlato molto meno degli altri anni, in compenso hanno parlato di più i bambini ed ho scoperto che sono molto più originali di me; loro ti conducono in “terreni” nuovi, affascinanti, tanto fantasiosi quanto ricchi di realtà, poi sta a te spingerli oltre alla ricerca di significati.
Ci siamo sporcati tanto: le mani, i grembiuli, i pantaloni, le maglie, i giubbotti, le scarpe, le galoshes, gli zaini, i sacchi a pelo, i tappetini…(a dispetto di tutto il detergente che ci circondava!).
Abbiamo incontrato tanta gente: Luca, Laura, Alessandra, Gloria, Mario e tanti altri che hanno condiviso un pezzo di strada con noi.
Abbiamo trovato oggetti “importanti”: un portafogli con documenti e un bel po’ di soldi dentro, un bancomat, un codice fiscale, impegnative mediche (tutto restituito ai proprietari; da bravi cittadini).
Che dire? La cosa ci è piaciuta!
Certamente si può fare meglio e di più, ma di una cosa sono certa: non ho voglia di tornare al mio vecchio modo di insegnare.
Altri insegnanti come me sentono le stesse sensazioni ed hanno tentato anche loro di costruire rifugi, ponti, navi; chi da poco, chi da anni. Il mio sguardo non può che allungarsi verso questi colleghi e colleghe, nella speranza di trovare connessioni, intrecci, contagi (W il contagio di idee!).
Per concludere:
Dal nostro rifugio abbiamo sempre continuato a guardare la bufera che era fuori, ma esso ci ha dato calore, un senso di conforto. Il nostro rifugio ci ha protetti!