A scuola si affrontano grandi questioni: la pace, la guerra, il diritto, la libertà…ma salta agli occhi una discrepanza fra il discorso teorico, riferito al mondo là fuori, e il vissuto nel nostro piccolo mondo classe. Ho sentore di una difficoltà a livello relazionale e comunicativo: i bambini si ritrovano troppo facilmente risucchiati in un’escalation di violenza verbale fino a quella fisica. Può capitare di dirigere un coro armonico di alunni che inneggia alla pace e, subito dopo, dividere fisicamente due bambini da una lite furiosa. Non che a scuola si debba evitare il conflitto, che forma l’identità e il pensiero critico, bensì evitarne la sua degenerazione e le conseguenze che ne derivano a livello individuale e di classe. Nel chiedermi come migliorare la gestione dei conflitti mi domando se sia ora che noi adulti ci mettiamo un po’ da parte. Noi docenti siamo soliti intervenire/interferire, nel conflitto quando ormai è degenerato e come un deus ex machina offrire la nostra risoluzione, a volte sbrigativa, non compresa o ritenuta di parte, spesso punitiva più che preventiva. Quando poi portiamo il conflitto nella discussione collettiva corriamo il rischio di espanderlo aumentando il pathos e riattivando ulteriori rancori sopiti. Consapevoli che educare vuol dire “tirare fuori” sarà bene non solo spendere tempo per sedare un conflitto ma spenderlo per educare al conflitto. È ciò che ho tentato di fare: dare ai bambini le redini per “guidare” i loro conflitti senza farsi travolgere dalle emozioni. Ho iniziato con una drammatizzazione che, con la sua capacità catartica, facesse emergere agli occhi dei bambini il problema comunicativo-relazionale.

Riconosciuto il problema ho offerto non una soluzione ma un supporto per affrontarlo. Ho dato al conflitto un tempo e un luogo delimitato, ovvero un angolo dell’aula diviso da un separé di cartone dipinto dagli alunni. Il cosiddetto “peace corner” è stato utilizzato per chiarire le divergenze negli ultimi minuti della ricreazione, momento propizio per i litigi perché di incontro e quindi di facile scontro. I due litiganti hanno accesso al ” peace corner” accompagnati dal “mediatore”, ruolo rivestito a turnazione dai bambini stessi. Più del luogo, già usato in altre scuole, è questo nuovo ruolo a fare la differenza perché non è più la maestra ma è il bambino che, motivato dall’investitura ricevuta, mette in gioco e sviluppa le sue competenze (meta)comunicative, relazionali, prosociali: mediare, entrare in empatia, assumere diversi punti di vista, trovare equilibri e cercare soluzioni. Il mediatore non è però lasciato allo sbando in questo arduo compito, come chi entra nella gabbia tra i leoni, ma ha delle indicazioni e una “procedura” da seguire poste in essere attraverso un brainstormig che ci ha fornito le buone pratiche per sbollire la rabbia, le regole per comunicare fino ai rituali per fare pace. Il “gioco della pace” si fa ancora più serio quando a rivestire il ruolo di mediatore è un litigioso seriale, un bambino che innesca la miccia fino a bruciarsi ogni volta, perché forse in quel futile conflitto inconsciamente fa emergere i suoi veri conflitti interiori. Fare il mediatore significherà per lui lasciare il personaggio della perenne vittima o del bambino arrabbiato con il mondo per “recitare” un copione diverso, più impegnativo e ancor più creativo. L’obiettivo a breve termine sarà far fare pace ai suoi compagni, ma il fine educativo è quello di crescere come persona, come quell’essere dialogico ancora più che istintivo che siamo. I risultati di questa sperimentazione, avviata solo l’ultimo mese di scuola, sono incoraggianti, sia per l’entusiasmo dei bambini nel gestire il loro piccolo spazio di crescita (dove la maestra non entra) che nel rivestire il ruolo di mediatore, che tutti ambivano ad avere. Li ho visti infatti mettersi in gioco, passando dalla chiusura al dialogo, li ho visti entrare nell’angolo con una faccia ed uscire con un’altra, rasserenata. L’ultima settimana di scuola siamo rimasti meravigliati dalla mancanza di utilizzo del “peace corner” per carenza di litigi, in effetti i mediatori si lamentavano di essere disoccupati e allora ho suggerito loro di adoperarsi per la prevenzione dei litigi, ovvero intercettare la scintilla del litigio e intervenire subito placando gli animi e le parole. Non so se questa tendenza inversa sia frutto del breve percorso ma continueremo a provare il prossimo anno non a parlare di pace e di guerra ma a viverla insieme.

Scritto da:
Cristina Offidani
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